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La "Chiesa vecchia"

Il 14 giugno del 1627 si da notizia, in un testamento redatto presso il notaio Alessandro Scuderi, che a S. Maria degli Ammalati, è stato costruito quello che oggi possiamo considerare il primo edificio a carattere religioso. Si tratta di una cappella, edificata per volontà di Jacopo Grassi in un suo vigneto, intitolata a Santa Maria delli Malati, dove si celebrava messa ogni primo sabato di ogni mese.

Dai documenti relativi al testamento del Grassi, non è possibile risalire al sito della cappella; i suoi riferimenti appaiono molto generici per riuscire a stabilire la sua collocazione, ma è pensabile ipotizzare che la cappella del 1627 diventi o sia considerata Chiesa più tardi in occasione della visita pastorale del Vescovo di Catania nel 1669, quando essa è citata per la prima volta e come ecclesia, con annessa sagrestia.

È quindi, la presenza di una Chiesa dedicata alla Madonna degli Ammalati, alla fine del XVII secolo, che fa pensare ad uno stabile insediamento abitativo in un’area che, allora, faceva parte del bosco di Aci e dove, stante alla notizia riportata dalla Cronaca del Calcerano, il 7 settembre 1658 don Giovanbattista Grasso, di ritorno dal celebrare messa alli giardini, alla Madonna delli Ammalati, subì una mortale aggressione da parte di un gruppo di briganti.

Per mancanza di precisi dati storici non ci è dato sapere granché degli effetti sul paese del più famoso dei terremoti, quello del 1693, che fu causa di gravi lutti ed immani distruzioni e che interessò fra l’altro l’intera area orientale della Sicilia ma si sa per certo che la Chiesa si dissipò fino da fondamenti.

La ricostruzione di un nuovo tempio sacro avvenne probabilmente grazie all'interesse e all'impegno di un frate carmelitano acese, fra' Mariano Cavallaro. Si danno così i natali ad una seconda Chiesa dedicata sempre alla Madonna degli Ammalati.

In paese, per tradizione, si colloca la “seconda vecchia chiesa” nella parte iniziale dell’attuale via Castagneto, nel sito corrispondente alla casa della maestra Laura, all’angolo, cioè delle attuali vie Castagneto e Provinciale. La collocazione, nel toponimo "Chiesa vecchia", trova riscontro in alcuni documenti notarili che arrivano alla prima metà del ‘900, riferiti ai terreni posti nei pressi dell’imbocco della suddetta via e ancora, in numerose testimonianze orali degli abitanti dell’attuale paese.

Nel 1745 si deve allo stesso fra’ Mariano la committenza di una tela al pittore Paolo Vasta (1697 – 1760), per la somma di 5 onze. Si tratta della rappresentazione de La Vergine, i santi Giuseppe, Isidoro ed Alberto, oggi presente in alto al centro dell’abside della Chiesa (a copertura della cappella che conserva il simulacro di Maria SS Salute degli infermi). L’opera si differenzia da quella commissionata al Vasta per la sostituzione di sant’Alberto carmelitano al posto di sant’Antonio Abate. La variante è dovuta, molto probabilmente, all’appartenenza del committente allo stesso ordine del santo rappresentato.

La Madonna con il bambino, posta in alto, al centro della tela, assisa su una nube viene incoronata da due angeli; san Giuseppe, in secondo piano, alla sinistra della Vergine, la osserva. Si tratta di una scena iconografica tipica del settecento. In basso a destra, Sant’Alberto è raffigurato in abiti domenicani, con il libro e il giglio, mentre, a sinistra, sant’ Isidoro agricoltore è raffigurato in abiti da contadino e reca in mano il bastone, attributo che lo contraddistingue. 

Maria SSmaS. AlbertoS. Isidoro

Un’altra significativa opera che arricchisce la Chiesa vecchia è la tela settecentesca di Santa Venera in gloria con san Vito e sant’Antonio Abate di Francesco Finocchiaro detto “Burrasca” (1740 – 1823), come evidenzia la Visitatio ruralium del 1774 e del 1810 e lo stesso inventario del 1825. S. Venera in gloriaSanta Venera, posta al centro del quadro, reca in mano il Crocifisso, mentre due angeli sorreggono gli oggetti iconografici che la caratterizzano, la palma ed il libro. Una luce vigorosa avvolge il capo della giovane santa e ne sottolinea la regalità. San Vito, probabilmente di Mazzara del Vallo, quindi un santo siciliano, viene riproposto con i segni iconografici del cane, del libro, della palma e della predella sulla quale è in genere posto. Sant’Antonio Abate, invece, viene quì rappresentato con le vesti e i simboli abaziali; egli è abate in quanto padre e guida per gli altri monaci. Raffigurato in ginocchio, reca in mano il libro delle Sacre Scritture aperto, probabilmente, nella pagina del Vangelo che decise la vocazione del giovane eremita: “vai, vendi quello che possiedi…poi vieni e seguimi”. Altro importante attributo è il campanello, che troviamo agganciato al pastorale; si narra che in Francia, dove sono conservate le reliquie del santo, fu necessario costruire un ospedale, diretto dall'Ordine Ospedaliero degli Antoniani, i quali, sembra allevassero maiali per sfamare gli ospiti; i maiali, distinguibili per un campanello, avevano il rpivilegio di pascolare liberamente per la città. Così il campanello passò fra gli attributi iconografici del santo.

L'opera la si può ammirare ancora oggi ed è collocata nella parte sinistra della navata, nell'ultimo altare minore prima del coro.

La Chiesa vecchia viene in possesso anche di altre tele di piccole dimensioni. Esse hanno come soggetto temi usuali alla pittura del Settecento acese come, l’Annunciazione - copia dell’opera eseguita da Carlo Maratta, oggi al Quirinale -  Cristo e la Samaritana - copia speculare dell’omonima tela di Annibale Carracci - Gesù al Getsemani, la Madonna della Mercede e Pietro Nolasco e il San Michele Arcangelo. Il termine spagnolo Mercede deriva dal latino merces cioè “ricompensa gratuita”, “grazia”. Possiamo quindi dire che la Madonna della Mercede è la Signora della grazia gratuita, ovvero Signora della Misericordia. Proprio quella misericordia che esortò Pietro Nolasco, raffigurato in basso a destra della nostra opera, a fondare l’Ordine dei Mercedari, dopo che la Madonna gli apparve in sogno, per riscattare i cristiani finiti in schiavitù.

Il San Michele Arcangelo, difensore del popolo ebraico, adottato dalla Chiesa come santo protettore del cristiano militante è rappresentato armato di una spada e di una lancia e come quasi tutti gli angeli ha le ali, mentre satana è ritratto con le sembianze di un drago che giace sotto ai piedi del santo che sta per ucciderlo.

Maria della MercedeS. Michele

Sembra corretto pensare che queste opere abbiano fatto parte del bagaglio artistico e culturale che il Vasta ha condotto con se al rientro dai suoi viaggi, nel 1732, ad Acireale. E' probabile che la moglie, alla morte del Vasta, per risolvere i non pochi problemi economici abbia venduto i disegni, le tele, gli studi e le copie che l’artista aveva in casa. Quindi i rettori della chiesa di Santa Maria Ammalati, ricca per le rendite ad essa assegnate, acquistarono le opere, contribuendo così, ad arricchire il patrimonio artistico fino a quel momento accumulato.

Di queste opere è possibile ammirarne, attualmente, due, la Madonna della Mercede e Pietro Nolasco e il San Michele Arcangelo, poste nel coro della chiesa nell'ottobre del 2010 in seguito ad un accurato restauro che le ha riportate al loro antico splendore. Le rimanenti tele attendono ancora un intervento di restauro prima di essere collocate in chiesa.

Nel 1865, in seguito ai gravi terremoti del 1818 e del 1864, fu deciso di ricostruire ex novo in altro luogo una “nuova Chiesa”. Ciò fu possibile grazie alla munificenza del Can. Giovanni Pennisi Platania che ne concesse il terreno e grazie all’aiuto del Comune di Acireale e della popolazione del paese.